Non Devi Sperare
Non devi sperare: la logica è d’altri
Bere placa la sete il sale fa bere quindi il sale placa la sete Pseudosillogismo Benché la logica sia uno strumento formidabile in mano ai logici, ben poche volte è d’aiuto nella vita di tutti i giorni. L’uomo è un essere razionale se lo vuole; altrimenti, è un essere altamente irrazionale.
Sfruttando l’irrazionalità della mente umana si può facilmente controllare il comportamento degli individui e della massa.
Proprietà transitive
È noto che il colpevole della pioggia che ci ha rovinato il week-end è il colonnello delle previsioni del tempo: è a lui che indirizziamo le nostre rimostranze e i nostri improperi. La nostra mente è fatta in modo che chi riporta una notizia venga ritenuto, in qualche maniera, «parte» della notizia stessa. Chi legge qualcosa in televisione, secondo la nostra mente, non è semplicemente uno che legge, ma uno che dice.
Non è un aspetto da trascurare: quando si va in cabina elettorale, si dà spesso il nostro voto a una persona che di tutte le cose che ha detto e scritto è responsabile al massimo al 5%. Peggio ancora: votiamo sconosciuti che appartengono alla corrente di quella persona, o che sono amici di quella persona, o che ci sono stati consigliati da quella persona: come se i pregi di quella persona si trasferissero magicamente a tutti gli individui che hanno qualcosa in comune con lei.
Generalizzare Prendete un particolare e assolutizzatelo, ossia fatelo crescere a dismisura o calare a dismisura (operazione assai facile, basta inserire le parole «mai», «sempre», «tutto», «nulla»). Avrete in mano un potente strumento di persuasione.
Come diceva Primo Levi, la natura umana è nemica di ogni assoluto: la nostra mente non è programmata per far fronte all’infinito, per cui per mandarla in tilt basta inserire l’assoluto (mai, sempre ecc.). Le parole dotate di significato « assolutizzante » hanno ben poco vero significato nella vita reale degli esseri umani, dove assai poche sono le cose che interessano tutti, nessuno, o che durano sempre o non mutano mai. In realtà tutto è parziale, tutto è modificabile, nulla è assoluto, a tutto c’è rimedio– D’accordo, quasi a tutto. (Notiamo di sfuggita che già nell’ affermare queste idee ci si infila nel paradosso).
Pensiamoci, la prossima volta che ci verrà chiesto di fare (o non fare) qualcosa perché Tutti lo fanno Si è sempre fatto così Nessuno si è mai rifiutato Non si è mai fatto diversamente eccetera. Rifiutiamoci di eseguire l’ordine all’istante, e riflettiamo su questo: tutte le generalizzazioni sono sbagliate (oops!).
Giudizi
Generalizzare a proposito del comportamento umano è operazione interessantissima. Se a una persona è stato detto Sei incapace quella persona recepisce il messaggio come un assoluto, ossia nella forma Sei un incapace.
Il messaggio corretto sarebbe stato: a volte sei incapace; in alcune situazioni sei incapace (e quindi in altre non lo sei); in alcune fasi della tua vita sei stato o sarai incapace; in presenza di alcune persone (e non di altre) ti comporti da incapace; alcuni tuoi comportamenti indicano incapacità (e la tua essenza di individuo non è l’«incapacità»), e così via.
Chi pensa diEssere brutto/a lo pensa, di solito, in termini assoluti e generalizzando a tutta la sua persona. La prospettiva corretta, invece, è: sono brutto rispetto alle mie aspettative, rispetto ad alcuni modelli irrealistici, rispetto ad alcune persone (ma non rispetto ad altre), in alcune parti del mio corpo (ma non in altre), nel mio corpo (ma non nel mio modo di muovermi), nel mio aspetto fisico (ma non nelle mie doti di ironia o autoironia o simpatia o mistero o altro) eccetera. Per «curare» chi è stato vittima di simili condizionamenti gli si pongono domande che lo spingono a valutare i dettagli concreti della faccenda da lui generalizzata (« come» sei brutto? Rispetto a chi, a che cosa, dove, nel fare che cosa eccetera): tali domande (come del resto tutte) creano realtà.
L’unione fa la forza Si può generalizzare anche senza usare le parole generalizzanti: basta usare il plurale al posto del singolare. Così, se L’extracomunitario diventa Gli extracomunitari acquista subito, per magia, il potere insito nella generalizzazione: stiamo parlando non più del signor Tale, ma di un’intera categoria, di una classe la più ampia possibile di individui, che ci raffiguriamo come tutti uguali e dotati delle medesime proprietà.
Con questo artificio possiamo sminuire il valore di qualcuno: Ah, questi italiani! oppure aumentarlo: Approvato dall’ associazione medici dentisti.
Non c’è bisogno di guardare alla storia per vedere quali effetti disastrosi porti con sé l’abitudine a pensare e agire per classi di individui, anziché per individui singoli.
Estrapolare Fumare fa male.
È vero, ma se fumare venti sigarette al giorno fa male, è lecito dedurre che fa male anche fumarne due al giorno? Ovviamente no. Eppure tutti ci lasciamo prendere dalla tentazione di estrapolare i dati seguendo una nostra logica interna, che di logico ha ben poco.
Se le radiazioni ionizzanti beta e quelle gamma fanno male, allora fanno male anche quelle alfa? E se fanno male le radiazioni ionizzanti, fanno male anche quelle non ionizzanti? Se alcuni extracomunitari sono realmente implicati nel crimine, lo è solo per questo anche il signor Tale? Ciò che è vero per le categorie, non lo è necessariamente per i singoli elementi.
Siamo tutti Sherlock Holmes
Un esempio è solo ciò che è, ossia un esempio: non si può costruire un’intera teoria partendo da un solo indizio, come faceva Sherlock Holmes. E vero che lui ci riusciva, ma è vero anche che lui non è mai esistito. Noi, che invece esistiamo, non possiamo affidarci esclusivamente a questa modalità di pensiero (detta «abduzione »), se non vogliamo incorrere in grossi dispiaceri. Se un tizio ha l’espressione losca, non è detto che sia losco: lo è solo la sua espressione (e se un tizio ha l’espressione simpatica, non è detto che ci tratterà bene). Se l’individuo nato nel Paese tale è un criminale, non lo sono tutti. Se la zia Marta è guarita dal ginocchio della lavandaia con lo sciroppo di vongole, non è detto che tutti avranno la stessa fortuna.
Ciò che è valido per i singoli elementi, non è necessariamente valido per le categorie.
Eccezioni
Ciò che è valido per «tutti» non è detto sia valido per me. Se Tutti quelli che sono andati in gita a Vallechiara sono stati contenti ciò non significa che io sarò contento. Eppure continuiamo a ragionare in questo modo. È un fenomeno irresistibile.
Si pensi agli effetti pratici in campo sanitario: la prevenzione delle malattie si basa su valutazioni fatte sui grandi numeri di persone. Ma rapportare questi dati al singolo è un’operazione molto spesso del tutto arbitraria.
In medio stat…
Un altro errore logico tipico, nel quale incorriamo spesso, è il seguente: date due versioni estreme di un argomento, siamo portati a credere che la verità si collochi a metà strada tra le due.
Se il farmaco A contiene 100 e quello C contiene 50, non è detto che convenga prendere il farmaco B solo perché esso contiene 75.
Se un politico dell’ala estremista dice A e un suo avversario dell’ala politica estrema dice C, non è detto che la verità stia in B.
In fondo, nessuno sostiene che tra 2 + 2 = 7 e 2 + 2 = 5, la verità stia nel 2 + 2 = 6.
Causa, nostra letizia! Tutti conosciamo il potere stregonesco del lavare l’auto.
Adelino Cattani, Botta e risposta.
L’arte della replica.
Parlando del potere magico della parola «perché», ci siamo spinti in prossimità di una delle armi più potenti dell’arsenale della persuasione: il nesso di causa.
Gli Aztechi sacrificavano ogni giorno un po’ di esseri umani per assicurarsi che il giorno dopo il sole sarebbe sorto. Considerato il prezzo della merce, avrebbero potuto fare un esperimento e verificare se realmente il sole avesse bisogno del sangue umano per alzarsi dall’orizzonte; ma non lo fecero, e per due motivi: perché il rischio che correvano era troppo grande (che cosa avrebbero fatto, se il sole non fosse sorto?), e perché avevano già la prova che i sacrifici provocavano il sorgere dell’astro. In fin dei conti, era proprio quello che succedeva, da sempre; di che cosa andare in cerca, allora? Il ragionamento degli Aztechi era infatti questo: ieri ho strappato il cuore a tre guerrieri e tre fanciulle, questa mattina il sole è sorto, quindi strappare il cuore fa sorgere il sole.
Se credete che le nostre menti illuminate dalla civiltà non condividano questo modo di ragionare, aspettate a giudicare. Infatti, connettere eventi disparati attribuendo loro nessi di causa inesistenti, solo per il fatto che un evento ne precede temporalmente un altro, è una tendenza che abbiamo tutti e che è sempre in azione.
Se vi viene la febbre, credete sia perché avete preso freddo.
In realtà le cose stanno diversamente. Eventi successivi non sono necessariamente uno la causa dell’altro. Tanto per cominciare, un evento B successivo all’evento A potrebbe essere la causa, anziché la conseguenza, di A: per esempio, il brivido avvertito ieri non è la causa dell’influenza manifestatasi oggi (« ho preso freddo: infatti avevo i brividi. Ed ecco che mi sono buscato questa bella influenza »), ma la conseguenza (il sintomo) di un’ influenza già iniziata, anche se ancora senza febbre. Inoltre, A e B potrebbero essere semplicemente entrambi la conseguenza di un altro evento, C.
Infine, A e B potrebbero semplicemente essere eventi assolutamente indipendenti, ma la nostra mente si ostina a connetterli: è il caso più frequente. Abbiamo una passione sviscerata per il nesso di causa e questo ci rende facili vittime di errori e tranelli vari. Per esempio: i prezzi della frutta sono aumentati dopo l’ascesa del nuovo governo? «È colpa del nuovo governo! », dirà l’opposizione: e chi riuscirà a pensare il contrario? La tosse mi è passata dopo che ho ingoiato la tisana della zia Mafalda? È merito della tisana, e non ci sarà medico in grado di confutare questa mia teoria (analogamente, se lo zio Artemio è morto sotto i ferri è senz’ altro colpa del chirurgo, perché « se non si fosse fatto operare… »).
Premesse
Cambiando le premesse, il risultato cambia. Molte volte la nostra reazione a una richiesta dipende dalle premesse che ci vengono suggerite, anziché dal contenuto della richiesta.
Si sa che, se ci viene fatto un favore, cerchiamo di sdebitarci: se un commerciante ci offre qualcosa (un assaggio gratis, o semplicemente la sua cortesia), è difficile rifiutarsi di acquistare la mercanzia che sta vendendo. Sarebbe molto più facile se nelle premesse non vi fosse stata l’offerta fattaci.
Se per telefono ci chiedono «Come sta? », e rispondiamo « Bene », è arduo poi negare un’offerta per l’Associazione Malattie Astruse.
Pressioni e premesse
A volte le premesse sono state «premute ». È il caso delle didascalie che commentano le immagini stampate, o dei discorsi che commentano quelle filmate. In se stesse le immagini sono altrettanto ambigue quanto le parole: basta pensare al fatto che una medesima immagine (poniamo, una rosa) può essere inquadrata dall’alto, dal basso, preceduta e/o seguita da immagini appositamente selezionate, con varie gradazioni di luce e/o colore, in varie dimensioni e/o posizioni rispetto all’occhio di chi guarda eccetera. Ci si rende conto che il detto «un’immagine vale più di mille parole » è, sì, valido, ma si riferisce al potere di persuasione, non a quello di rappresentazione fedele al vero.
Dunque, anche l’immagine è ambigua o vaga (o entrambe le cose).
Tutte le volte che una didascalia o uno speaker commentano un’immagine, conviene contare fino a dieci prima di formulare un giudizio: la pressione dei commenti nel formare premesse per l’interpretazione dell’immagine è fortissima, e, una volta accettato il commento, sarà molto difficile tornare sui propri passi e vedere l’immagine in un modo diverso.