Info

Genocidio

Pubblichiamo il video di al Jazeera nel quale scorrono i nomi dei morti accertati del massacro di Gaza (tanti sono ancora non accertati).
Vittime alle quali il media aggiunge l’età.
Una lista interminabile nonostante i caratteri minuscoli: più di 58 minuti, di cui i primi 15 sono nomi di bambini da 0 a 14 anni.
Lo commentiamo con un articolo di Gideon Levy pubblicato da Haaretz il 15 settembre con il titolo: “Gli israeliani devono chiedersi se sono disposti a vivere in un Paese che vive di sangue”.

Il Paese di sangue

Israele si sta trasformando, con una velocità allarmante, in un Paese che vive di sangue. I crimini quotidiani dell’occupazione sono già diventati meno rilevanti. Nell’ultimo anno, è emersa una nuova realtà di uccisioni di massa e crimini di portata completamente diversa. Siamo immersi in una realtà genocida; è stato versato il sangue di decine di migliaia di persone.
Questo è il momento in cui tutti gli israeliani dovrebbero chiedersi se sono disposti a vivere in un Paese che vive di sangue. Non dite che non c’è scelta, certo che c’è, ma prima dobbiamo chiederci se siamo anche solo preparati a vivere in questo modo.
Siamo noi, israeliani, disposti a vivere nell’unico Paese al mondo la cui esistenza è basata sul sangue? L’unica idea diffusa in Israele ora è quella di vivere passando da una guerra all’altra, da uno spargimento di sangue all’altro, da un massacro all’altro, con intervalli il più possibile distanziati.
Non c’è nessun’altra idea sul tavolo. Le persone che profondono speranza promettono lunghi intervalli, mentre la destra promette una realtà intrisa in permanenza nel sangue: guerra, uccisioni di massa, sistematica violazione del diritto internazionale, uno Stato paria, che si ripete in un ciclo infinito.
I palestinesi continueranno a essere massacrati e gli israeliani continueranno a chiudere gli occhi? Difficile da credere. Verrà il momento in cui più israeliani apriranno gli occhi e riconosceranno che il loro Paese sopravvive grazie al sangue. Senza spargimento di sangue, ci viene detto, non esistiamo, e facciamo pace con questa orribile affermazione.
Non solo crediamo che un Paese del genere possa esistere per sempre, siamo convinti che, senza l’offerta di sangue, non esisterebbe. Ogni tre anni, un massacro a Gaza, ogni quattro anni, in Libano. Nel mezzo, c’è la Cisgiordania e, occasionalmente, un surplus di sangue dato da obiettivi aggiuntivi. Non esiste un altro paese come questo al mondo.
Il sangue non può essere il carburante del Paese. Proprio come nessuno immaginerebbe di guidare un’auto alimentata a sangue, non importa quanto sia economica, è difficile immaginare 10 milioni di cittadini disposti a vivere in un Paese che funziona a sangue. La guerra a Gaza è uno spartiacque. È così che continueremo?
I media cercano di convincerci che questa è una necessità. Attraverso campagne che demonizzano e disumanizzano i palestinesi, un coro unanime e mostruoso di commentatori ci sta propagandando con successo l’idea che possiamo vivere per l’eternità nel sangue.
‘Taglieremo l’erba’ a Gaza ogni due anni – giustizieremo generazioni e generazioni di giovani oppositori del regime, imprigioneremo decine di migliaia di persone nei campi di concentramento, espelleremo, elimineremo, esproprieremo e, naturalmente, uccideremo, ed è così che vivremo: nel Paese del sangue.
Abbiamo già ucciso il popolo palestinese. Abbiamo iniziato con l’uccisione di massa a Gaza, e ora ci siamo rivolti alla Cisgiordania. Anche lì verrà versato sangue a litri, se nessuno ferma l’esercito. L’uccisione è sia fisica che emotiva. Ora non è rimasto nulla di Gaza.
I detenuti, gli orfani, i traumatizzati, i senzatetto, non torneranno mai più a essere ciò che erano. Non certamente i morti. Ci vorranno generazioni perché Gaza si riprenda, se mai ci riuscirà. Questo è genocidio, anche se la parola può non soddisfare la definizione legale. Un paese non può vivere di una simile ideologia, certamente non quando intende continuare a farlo.
Supponiamo che il mondo continui a permetterlo. La domanda è se noi, gli israeliani, siamo disposti a permetterlo. Quanto a lungo possiamo vivere con la consapevolezza che la nostra esistenza dipende dal sangue? Quando ci chiederemo se non ci sia davvero alternativa a un Paese di sangue? Dopotutto, non esiste nessun altro Paese come questo.
Israele non ha mai seriamente provato un’altra strada. È stato programmato e diretto a comportarsi come un Paese che vive di sangue, a maggior ragione dopo il 7 ottobre. Come se quel giorno terribile, dopo il quale tutto è lecito, avesse suggellato il suo destino di Paese di sangue.
Il fatto è che non si è mai parlato di nessun’altra possibilità. Ma un Paese di sangue non è un’opzione, così come non lo è un’auto alimentata a sangue. Quando ce ne renderemo conto, inizieremo a cercare alternative, anche solo per mancanza di altre opzioni. Sono lì, e aspettano solo di essere provate. Potrebbero sorprenderci, ma nella realtà attuale è impossibile anche solo suggerirle.

Allegati

Letter to President Biden and Vice President Harris del 2 ottobre 2024
versione inglese
versione italiana
Aggiunta alla lettera
versione inglese
versione italiana

Qui la lettera aperta di 30 operatori sanitari britannici del 15 aprile 2024
versione inglese
versione italiana

E qui la lettera aperta di 19 operatori sanitari canadesi del 7 agosto 2024
versione inglese
versione italiana

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *